Come finirebbe Casablanca?
by Umberto Zampini
Gli A�ropostale di Antoine de Saint Exup�ry non si tuffano pi� nella 
notte sudamericana e gli aerei non sono pi�, come diceva Marinetti, 
ritagliati "nella tela color ocra dei velieri".
I tempi sono 
cambiati, molto cambiati, da quando il 20 maggio del 1927, nemmeno 
ottant'anni fa, Charles Lindbergh decollava da Roosevelt Airfield a Long
 Island per raggiungere, dopo 33 ore, 30 minuti e 29,8 secondi, 
l'aeroporto di Le Bourget a Parigi: adesso l'Oceano Atlantico 
s'attraversa in poche ore maldormendo e malmangiando e a nessuno sembra 
una cosa eccezionale.
Milioni di persone si fanno trasportare per il 
cielo del mondo in un frenetico inseguirsi ed inseguire affari, altri 
milioni saltano su un aereo solo per andare a fare il bagno dove l'acqua
 � pi� blu...
I veri viaggiatori si sono ridotti a razza quasi 
estinta e l'alone, anche romantico, che caratterizzava luoghi e velivoli
 del viaggiare s'� disciolto nella standardizzazione dei mezzi di 
trasporto e nell'omologazione planetaria.
Poveri aeroporti! Michael 
Curtiz mai potrebbe ambientare il finale di Casablanca in uno scalo 
aereo d'oggi: l'addio di Rick Blaine a Ilsa, tra un negozio di calzetti,
 una rustichella e la nebbia, sulla pista innevata di Malpensa?
Erano
 affascinanti, una volta, gli aeroporti, ricordo un'aria quasi di 
complicit� tra chi li frequentava: s'entrava a far parte d'una sorta di 
club, ci si salutava tra viaggiatori e ai duty free, luoghi fantastici 
profumati di tabacchi, liquori e cibi introvabili altrove, c'era sempre 
qualcuno che ti aiutava a scegliere tra le etichette sconosciute... 
Atterrare in un aeroporto era davvero entrare in un paese straniero, in 
un luogo che a quel paese si premetteva, che quel paese ti faceva 
presagire, primo passo verso la scoperta dell'ignoto: oggi gli aeroporti
 sono tutti mestamente uguali! Le stesse, internazionali, catene di 
negozi ovunque, le stesse merci globalizzate e globalizzanti.
"Non 
luoghi" adatti a "non viaggiatori", stazioni di transito per pendolari 
globali e per turisti che vanno all'estero "perch� costa meno".
Non 
persone, ma utenti e passeggeri sospesi tra costose e magnificenti 
architetture, in attesa d'essere pressurizzati per un po' prima d'essere
 riversati, da uno scomodo tubo volante, in qualche terra lontana.
Luoghi
 in cui si � in balia di incomprensibili annunci e complicate tabelle, 
se Ulisse avesse tentato di prendere l'aereo per tornare ad Itaca la sua
 odissea sarebbe, probabilmente, durata molto pi� a lungo.
"Non 
luoghi" in cui persone senza identit�, ma con documenti di 
riconoscimento e carta d'imbarco ben stretti in mano, si sfiorano senza 
conoscersi: sarebbe riuscito Mattia Pascal a trasformarsi in Adriano 
Meis dopo aver letto "Il Foglietto" nella sala transiti d'un aeroporto?
Sono
 loro, i senza identit�, a sfiorare le altrui solitudini nelle opere di 
Paolo Cristiani. Sono soli anche quando altri sembrano accompagnarli, 
simulacri di viaggiatori, vittime e carnefici d'un mondo che 
probabilmente non hanno voluto, ma che ogni giorno contribuiscono a 
costruire.
Nella luce feroce, ma quasi tremula, degli aeroporti 
dipinti ci fanno capire che gli immobili personaggi di Hopper guardavano
 gi�, preveggenti attoniti, ad un futuro che siamo, con colpevole 
trascuratezza, riusciti a realizzare.
Umberto Zampini
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Brano tratto da �Aeroporti� di Paolo Cristiani. Edizione Fiera Milano SpA
